Giuseppe Persia

Critica

Fotografo. Nato a Cremona nel 1949, ha iniziato a fare fotografie all’inizio degli anni ’70. Ha partecipato a numerosi eventi in Italia e all’estero conseguendo importanti premi e consensi di pubblico e critica, tra i più recenti segnaliamo: “Laurea Onoris Causa” 2017, Premio Ithaca, dall’Accademia dei Dioscuri, Rassegna d’Arte Premio Roma 2017, Premio Canaletto 2018 da Spoleto Arte a cura di Vittorio Sgarbi.
L’opera fotografica di Giuseppe Persia ama giocare sull’ambiguità della percezione. E’ un equilibrio sottile, dove un semplice ortaggio si può trasformare in forme allusive, suadenti e sensuali. Sono immagini, realizzate in genere in bianco e nero, che fanno riflettere sulle possibilità espressive di una personale visione che va al di là di quello che l’occhio fisico riesce a percepire. L’immaginario si definisce, infatti, tramite un rigoroso studio compositivo che implica una scelta precisa fra le varie possibilità offerte dalle diverse inquadrature, dai tagli compositivi, dai rapporti tra luce e ombra, in un’attenta riflessione sulle potenzialità espressive e simboliche che si vengono a creare. Così l’esito formale raggiunto si condensa in suggestioni figurali in cui il concetto di realtà viene messo in discussione, senza alterazioni manipolazioni tecniche. La rappresentazione ottenuta suggerisce, allude, concedendo sempre, però, la possibilità di una scelta, in un gioco divertito e un po’ malizioso a cui il fruitore resta sempre libero di partecipare, di lasciarsi o meno coinvolgere. In questa fotografia il bianco e nero mostra la sua valenza immagnifica dove le ombre creano un insieme forte e coinvolgente che trasporta l’effige creata in un preciso contesto emozionale, sottolineando i volumi e le forme. Interessante la riproposizione, a volte, dell’immagine in una seguenza eleborata cromaticamente, che utilizza il potenziale espressivo del colore, presentato, non in modo realistico ma attraverso una saturazione cromatica che rimanda, assieme ad un concetto di serialità, a certe allusioni pop. Si crea, in definitiva, una sorta di paesaggio che potremmo definire “anatomico”, in cui appare un’urgenza immaginativa che si risolve in un contesto iconografico liberamente interpretato. (Vito Cracas)

Nato a Cremona nel 1949, ha iniziato a fare fotografie all’inizio degli anni ’70. Ha partecipato a numerosi eventi in Italia e all’estero conseguendo importanti premi e consensi di pubblico e critica. «Nus-Noûs: Nus come nudi, Noûs come mente. Due parole lontane come significato ma unite insieme per denominare l’opera fotografica di Giuseppe Persia, frutto di un percorso artistico iniziato negli anni ’70. Tale percorso si distingue per l’originalità dell’ideazione e degli esiti che hanno portato l’artista a realizzare in fotografia ciò che più facilmente si ottiene in pittura o in scultura. Si presentano come delle “entità eidetiche” che prescindono dalla realtà e dall’esperienza sensibile pur evocandola in varie guise ed in forme seducenti, misteriose e talvolta, inquietanti. In questa ricerca concettuale Persia fa prevalere la dimensione speculativa, volta ad indagare il mondo surreale dell’inconscio, un inconscio germinante da cui affiorano sia delle entità verosimili che delle entità misteriose eppure emotivamente coinvolgenti.» (Giovanna Calvo di Ronco) «La fotografia è un mezzo espressivo che, oltre ad essere un potente strumento di indagine e riproposizione della realtà oggettiva, sa anche essere in modo altrettanto valido, il suo opposto, riproducendo l’illusorio e l’irreale. Questa ambivalenza si concretizza nelle opere di Giuseppe Persia che si dimostra capace di affrontare il linguaggio fotografico sfruttandone appieno le possibilità espressive ed allusive. Nelle sue immagini appare in modo evidente come l’elemento di ambivalenza si tramuti in una sottile elaborazione della mente che ci allontana dalla realtà per condurci in un labirinto immaginativo composto da suggestioni e visioni evocative. Sono semplici peperoni ma capaci di suggerire corpi non privi di sensuale e misterioso fascino. Tutto questo è reso possibile dall’uso sapiente della tecnica di ripresa ravvicinata, abbinata alla riproduzione in bianco e nero. L’assenza del colore, infatti, permette più facilmente una decontestualizzazione del soggetto, favorendone una reinterpretazione più libera e scevra da strutture visive preconcette. Ecco allora apparire delle immagini che vanno lette seguendo un proprio livello emozionale, configurato in modelli interpretativi che attingono alle aree della mente e dell’inconscio. Si tratta di partecipare ad un gioco intuitivo e sensibile, dove non valgono gli elementi della razionalità, quanto la coerenza a concetti di libertà percettiva, al contempo lirica e immaginifica.
R. Perdicaro Artitalia Edizioni L’Elite

«La natura non crea opere d’arte. Siamo noi, con la capacità d’interpretazione, che è proprio nella mente umana, che vediamo l’arte». Dalle significative riflessioni di Man Ray si può individuare un’interessante connessione con il percorso artistico di Giuseppe Persia, per comprendere come la sua fotografia d’autore sia senza dubbio una forma d’arte di altissimo livello qualitativo e contenutistico. La versatile duttilità del suo estro gli consente di cimentarsi e spaziare positivamente dentro tematiche eterogenee, da cui nascono lavori di particolare e rara bellezza. Il tema del paesaggio naturale e urbano è sotteso da intensa motivazione poetica e da un attento e dovizioso bilanciamento compositivo giocato sulla “presenza/non presenza” umana, che si fonde perfettamente con la cornice ambientale di contorno in una dimensione di presenza volutamente “celata, sussurrata e intuita” di incisivo spessore, seppur non pienamente visibile e identificabile, ma comunque attesa e annunciata. Il tema del nudo femminile è affrontato con tono evocativo, con raffigurazioni di affascinante sensualità e intrigante erotismo, senza mai scadere in immagini eccessive e volgarmente riprodotte. Da un lato Persia fornisce la riproposizione nitida e dettagliata dei particolari del corpo, dall’altra li inserisce in uno scenario volutamente non realistico, modificandone le sembianze e la fisionomia natura lied enfatizzandone la deformità, la torsione e il contorcimento posturale, gli intrecci del movimento dinamico in cui sono immortalati dallo scatto d’autore. La scelta delle posture nella distorta flessuosità innaturale e forzata , con cui i corpi vengono catturati dall’obiettivo, non vuole sottolineare una finalità di rigido rigore narrativo, ma bensì piuttosto la dimensione di irrealtà onirica e fantasiosa, per enfatizzare una proiezione in cui ciò che conta è la bellezza nella sua particolare prospettiva sui generis.
La produzione si avvicina e si connette all’arte pittorica, poiché la rappresentazione del corpo umano e dell’habitat naturale e urbano sono da sempre all’origine della pittura e ne rafforzano l’essenza costitutiva stessa. La scelta del bianco e nero non è certamente casuale, ma bensì dettata da una consapevole coerenza d’intenti e di finalità, perché allude e si riferisce a una dimensione, che al realismo in senso stretto puramente descrittivo e oggettivo, preferisce la sottile e sfumata interpretazione libera e soggettiva. L’uso sapiente e calibrato della luce e degli effetti chiaroscurali è molto coreografico. Talvolta la componente luminosa viene dosata e “morbidamente adagiata”, talvolta irrompe più vibrante e sferzante, fino a generare dei contrasti netti e delle marcate zone d’ombra. Le fotografie possiedono una loro propria “vitalità estrinseca” che conquista lo spettatore fin dal primo sguardo e lo proietta dentro l’immagine in un avvincente viaggio di scandaglio analitico. Sfruttando le ombre e i riverberi del bianco e nero riesce a fornire una vasta gamma di soluzioni interpretative, dimostrando una capacità tecnica di intervento, che trionfa sul valore intrinseco del soggetto proposto e amplifica la valenza concettuale dell’opera nel suo complesso. L’obiettivo fotografico è una propaggine del suo senso visivo proteso a penetrare i segni nascosti tra le pieghe di una realtà colta nelle multiformi sfaccettature del suo “respiro intermittente” e compone il tessuto connettivo della ricerca sul rapporto tra senso e non senso, continuo e discontinuo, allontanamento e adescamento, addizione e sottrazione. Il tutto ricondotto alla perfetta e magica commistione tra ispirazione e immagine, pensiero e azione, tecnica e arte creativa. Si possono allineare le parole di Otto Steinert, che dichiarava che è possibile ottenere al di là di ogni ipotesi di “oggettività meccanica” una «fotografia umanizzata, individualizzata, dove l’utilizzazione dello strumento ha lo scopo di scegliere sui soggetti soltanto gli aspetti corrispondenti alla loro natura più profonda».
Dott.ssa Elena Gollini

NUS–NOÛS
“Nus”, come nudi,”Nous” come mente: si tratta di due parole lontane sia come idioma ( l’una francese, l’altra greca), che come significato, unite insieme per denominare la mostra in un gioco di assonanza e di richiamo avendo come riferimento l’opera fotografica più recente di Giuseppe Persia, frutto di un percorso artistico iniziato a metà degli anni ’70. Tale percorso si distingue per l’originalità dell’ideazione e degli esiti che hanno portato l’artista a realizzare in fotografia ciò che più facilmente si ottiene in pittura o in scultura naturalmente usando materiali di altro tipo. Persia, invece, utilizzando per le sue composizioni un vecchio, glorioso, cimelio in ottone dell’800, ovvero un ottica francese e una macchina formato 10x12 cm, ha operato a breve distanza dai soggetti prescelti puntando l’obiettivo su taluni particolari che, ingranditi a dismisura, si presentano come delle “entità eidetiche” che prescindono dalla realtà e dall’esperienza sensibile pur evocandola in varie guise. Queste forme seducenti, misteriose e, a volte, inquietanti, sembrano partire da un centro espandendosi dall’interno all’esterno per poi fermarsi sulla soglia di un audace equilibrismo. Ogni composizione presenta una sorta di imboccatura che scompare all’interno del singolo soggetto lasciando che a dominare lo spazio rimangano delle ikone segrete, capaci di rendere visibili le immagini interiori dell’Artista, nate dalla scelta di eliminare ogni dettaglio decorativo al fine di esaltare delle forme pure e risonanti, pronte ad evocare infiniti significati con il loro proteiforme manifestarsi. In questa ricerca artistica di tipo concettuale Persia fa prevalere la dimensione speculativa, volta ad indagare il mondo surreale dell’inconscio, un inconscio germinante da cui affiorano sia delle entità verosimili che delle entità misteriose eppure emotivamente coinvolgenti. E’ infatti verosimile che dei nudi femminili dalla metamorfica flessuosità di volta in volta sembrino accarezzati da un soffio d’acqua, che li avvolge e li trascina a sé dolcemente, oppure ripiegati su sé stessi in solipsistica rassegnazione. Un corpo di donna dalla pelle ambrata è ripreso di spalle nella postura degli adoratori del sole in lidi e mari lontani; altrove la pelle appare diafana quasi alabastrina senza perdere una sua pregnante carnalità, la stessa che contraddistingue intrecci, incastri e lotte disperate dove altri corpi in sommovimento ora si liberano dalla materia solcando lo spazio, ora si immedesimano totalmente in essa rimanendo inestricabilmente congiunti mentre la luce guizza e traluce, crea recessi e curvature scivolando impertinente da un particolare all’altro. Le forme antropomorfe, ricavate dall’uso sapiente dei mezzi tecnici e dalla capacità creativa di Giuseppe Persia, per la loro elegante politezza si possono degnamente accostare alle sculture di Arp e Moore ma, nel Nostro, le sorprese non mancano quando decide di mostrare le superfici deteriorate e corrose di quei corpi prima gaudiosi. Infatti divenendo lo specchio di un’umana condizione di sofferenza e di decadimento quella misteriosa epidermide si altera, presenta le ”taches” di rivoltanti bubboni, trasuda e gocciola mentre senza rémore l’obiettivo di Persia testimonia la metafora della vita, che è anche Male. In talune composizioni, oltre all’epidermide, anche le membra assumono delle variazioni espressive presentando dei contorcimenti, spinti fino alla deformità più impudica… ma basta far ruotare la foto, o meglio il capo dello spettatore, che le masse, prima neoplastiche, si volgano in un placido abbandono mentre dal fondo niellato sembra aprirsi un grande fiore esotico, in guisa di un’orchidacea, la cui innocente carnalità rimanda ancora all’urna della vita, al rassicurante grembo materno in cui l’individuo vorrebbe tornare per dimenticare le ambasce di una non facile quotidianità. Si tratta però di un’illusione che solo l’arte può offrire, in questo caso l’arte di Giuseppe Persia, la cui fotografia è in grado alternativamente di trascinarci nel buio o di irradiare luce, di interrogarci o di dare risposte, di invitarci al sorriso oppure alla meditazione, di farci indispettire o anche tranquillizzare; di farci persino divertire quando veniamo a sapere che i protagonisti delle sue foto sono degli onesti peperoni, le cui macchie sono dovute all’ attesa nell’ interno del frigo domestico che li ha custoditi. L’umiltà e l’ordinarietà del tema non fanno altro che confermare la straordinarietà degli esiti raggiunti e la nobilitazione dei soggetti, le gigantesche bacche di cui sopra, una nobilitazione resa possibile grazie all’intervento dell’Artista che stravedendo ha visto, in profondità.
Giovanna Calvo Di Ronco

Giuseppe Persia, un artista del bianco/nero e soprattutto l’interprete della fotografia da un lato come elemento documentario, così come avviene negli scatti relativi al terremoto del Friuli del 1976, e dall’altro quale fattore narrativo (si vedano al proposito le foto dei ″Mitici Anni 70″) ed ideologico come si può apprezzare nella serie "NUS–NOÛS".
Allievo, se così si può dire, di Gianni Borghesan, un uomo sobrio, elegante e discreto che apprezzò il ragazzo ventenne e lo avviò alla difficile arte della fotografia come esercizio non casuale e vincolato ad una rigida disciplina tecnica fatta di tratti essenziali, di misura e di espressività. Tali caratteristiche sono soprattutto rilevabili nella serie ″Nus-Nous″, le cui immagini, secondo quanto afferma Persia, «sono molto suggestive, alcune sembrano nudi, altre un intreccio di corpi, qualcuna spudoratamente scandalosa» per lanciare «un messaggio che non riguarda solo le immagini ma anche le situazioni» perché, e qui sta il suo credo artistico, «tutto quello che vedi, anzi, che credi di vedere, può non essere la realtà». E infatti si tratta di peperoni che, colti dall’obiettivo con virtuosistici effetti tecnici, sembrano affascinanti nudi femminili.
Testimoni di un passato scomparso per sempre, e per ciò stesso importanti testimonianze storiche, sono le foto dedicate al Castello di Ragogna, distrutto dal terremoto. In esse talora l’oggettività del fotografo cede alla malinconia di quanto è stato ed or non è più, e giunge alla poesia, come ad esempio nell’immagine del cimitero, che ricorda analoghe visioni dipinte dal pittore romantico tedesco Caspar Friedrich.
Un valore analogo possiedono le foto di luoghi e situazioni di un’Italia altrettanto scomparsa, come quella dei ″Mitici Anni 70″, che mostrano viva partecipazione alla miseria, alle vite perdute, all’umiltà di gente povera ma dotata di grande coraggio esistenziale.

Aldo Maria Pero, Giugno 2016


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